domenica 16 novembre 2008

Conferenza-incontro alla libreria La Fenice

Venerdì 28 novembre alle ore 17

presso la saletta della libreria La Fenice
in via Petrarca a Piombino,
si terrà la conferenza

La scienza organica di Goethe


essa è la prima del breve ciclo

LA VIA DI CONOSCENZA ANTROPOSOFICA

la cui seconda parte, La filosofia di Rudolf Steiner, si terrà venerdì 20 febbraio 2009.

L'incontro, aperto a tutti gli interessati, avrà la forma di una esposizione introduttiva cui seguiranno domande o considerazioni da parte dei partecipanti.

sabato 15 novembre 2008

L'opera scientifica di Goethe

In preparazione della conferenza-incontro del prossimo 28 novembre (vedi in programma di attività - agosto 2008, in appuntamenti del mese di novembre e nel post dedicato) pubblichiamo una nota sul lavoro scientifico di Goethe, preceduta da una biografia essenziale, con l'auspicio che questa lettura possa rendere più fecondo quell'incontro.
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Biografia essenziale
1749
Nasce a Francoforte sul Meno, figlio di un consigliere imperiale. Fin da bambino impara diverse lingue e si esercita nella composizione poetica.
1765
Compie studi di diritto a Lipsia. Coltiva diversi interessi: arte figurativa, disegno, poesia, medicina.
1768
Ritorna a Francoforte e si ammala gravemente. Studia testi cabalistici e alchemici. Compone liriche e commedie.
1771/1775
Riprende gli studi giuridici a Strasburgo. Compone il Canto di maggio. Torna a Francoforte e guida il movimento dello Sturm und Drang. Del 1773 è il Prometeo, del 1774 I dolori del giovane Werther. Il successo del romanzo, letto in tutto il mondo, gli procura fama e onori. Il duca di Weimar lo invita a corte come suo precettore.
1775/1785
Weimar diviene il centro culturale della Germania. Qui Goethe vive dedicandosi agli studi scientifici e agli impegni istituzionali.
1786
Viaggio in Italia. Soggiorna a Roma,visita la Sicilia. In Italia compone il dramma Ifigenia in Tauride. Quando torna a Weimar, ha assimilato la propensione a un classicismo che i suoi connazionali non riescono a capire.
1788/1800
Nel 1778 finisce la stesura del dramma Egmont. Tra il 1795 e i 1796 viene pubblicato Anni di noviziato di Guglielmo Meister, ed è sempre di questi anni il poema classicheggiante Arminio e Dorotea.
1800/1810
Inizia la tragedia Helena, che verrà poi inserita nel secondo Faust. E’ del 1802 il dramma in forma classica La figlia naturale, in cui affronta problemi politici. Nel 1805 scrive il saggio Winckelmann e il suo secolo. Nel 1805 sposa Christiane Vulpius. Gli studi delle scienze naturali lo impegnano per oltre un ventennio. Sono gli argomenti della Metamorfosi delle piante e della Metamorfosi degli animali. E’, invece, del 1808 la Teoria dei colori. Nel 1809 scrive il romanzo Le affinità elettive.
1814/1831
Goethe vive il resto della sua lunga vita a Weimar. Fra il 1814 e io 1819 scrive l’opera di poesia Divano occidentale-orientale. Esce nel 1829 Anni di pellegrinaggio di Guglielmo Meister. Completa nel dicembre 1831 il manoscritto del Faust.
1832
Muore a Weimar.
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Parole introduttive
Nella nostra epoca scienza quantitativa e tecnica lasciano sempre più spesso scontenti coloro che cercano una spiegazione “di fondo” dei fenomeni naturali; in queste persone una visione olistica e qualitativa in ogni aspetto della ricerca umana tende a prendere sempre più il campo. Il particolare approccio di Goethe alle scienze naturali può essere di aiuto in questa ricerca e suscitare un'eco anche oggi.
Le schematizzazioni delle scienze naturali, sebbene utili e necessarie, hanno allontanato da molti altri aspetti pur presenti nei fenomeni studiati e oggi si sente l’esigenza di riprenderli in considerazione in quanto i grandi progressi scientifici di questo secolo si sono rivelati poco rispondenti alle esigenze di conoscenza e di ricerca di spiegazioni più stabili e complessive.
Un conto è studiare la natura per sottometterla e sfruttarla, come sin qui si è prevalentemente fatto, un conto è invece cercare di comprenderne i processi per leggere più in profondità l’attività della natura stessa.
Un pensiero che riduce tutto a numero, a quantità, è per Goethe inammissibile. Da qui la sua polemica, a volte estremamente aspra con Newton.
Il suo metodo, come quello di altri scienziati presuppone anch'esso l’osservazione scientifica, gli esperimenti, ma solo perché
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Per orientarsi nell’Infinito
Distinguer devi e poi unire
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Quello che Goethe sottolinea è il desiderio, nella natura e nell’essere, di “totalità”: “La natura è predisposta per guidarci alla libertà attraverso la totalità”.
La ricerca della totalità può essere portata avanti poichè essa esiste anche dentro di noi, infatti una cosa può essere riconosciuta soltanto da ciò che le è simile. La ricerca va fatta, dunque, dentro e fuori di noi, con costanza, impegno e pazienza, restando aperti al contributo di tutti. Va osservato, nella natura e dentro di noi, il movimento: il prima e il dopo, il sopra e il sotto, la diastole e la sistole, il maschile e il femminile. Questo tentativo di conoscenza contraddistingue l’opera scientifica di Goethe e ne costituisce il fascino che viene accresciuto dall’esigenza di intervenire fattivamente di persona per capire. Allora i risultati, vicini alla realtà naturale, diversi da quelli di Newton, stimolano interrogativi, inquietano, aprono a nuove prospettive.

L’opera scientifica di Goethe
Durante il viaggio in Italia, nell'agosto del 1787, Goethe scrive, dopo aver visto piante e pesci presso Napoli e in Sicilia, di essere tentato di fare un viaggio in India “non già per scoprire cose nuove, ma per contemplare a modo mio quelle già scoperte”. Ci viene in questo modo indicato il punto di vista dal quale dobbiamo considerare le opere scientifiche di Goethe. Nel suo caso non si tratta mai della scoperta di fatti nuovi, ma dell'adozione di un nuovo punto di vista nell'osservazione della natura.
Goethe ha fatto una serie di importanti scoperte singole, ma come loro soffio animatore dobbiamo considerare una grandiosa concezione della natura che tutte le sorregge. E soprattutto dobbiamo vedere nella teoria degli organismi una scoperta grandiosa che mette in ombra tutto il resto: quella dell'essenza dell'organismo stesso.
Goethe ha esposto il principio per il quale un organismo è ciò che esso di sé ci manifesta. Prima di lui la scienza naturale non conosceva l'essenza dei fenomeni della vita e studiava gli organismi semplicemente secondo la composizione delle parti e i caratteri esteriori, come si studiano anche gli oggetti inorganici. I particolari, considerati come tali, non portano con sé il loro principio esplicativo; solo la natura dell'insieme li spiega, poiché è l'insieme che da loro essenza e significato.
L'elemento più significativo della metamorfosi delle piante non è, ad esempio, la scoperta del singolo fatto che foglia, calice, corolla etc. siano organi identici, bensì la grandiosa costruzione di pensiero che ne scaturisce, di un vivente complesso di leggi formative interagenti, il quale per forza propria determina i particolari, le singole tappe dello sviluppo.
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La sua grande scoperta, che abbraccia l'intera natura organica non è stata finora esposta da nessun altro indipendentemente da lui e in modo altrettanto perfetto.
La grandezza di questo pensiero, che Goethe cercò in seguito di estendere anche al mondo animale, si palesa solamente se cerchiamo di farlo vivere in noi, di ripensarlo noi stessi. Ci accorgiamo allora che esso è la natura della pianta stessa, tradotta in idea, la quale vive nel nostro spirito come nell'oggetto; ci accorgiamo che in tal modo ci rappresentiamo un organismo vivente sin nelle sue minime particelle, e non un oggetto definito; qualcosa in via di sviluppo, un divenire in incessante irrequietezza.
Quando Goethe giunse all'università di Lipsia, vi regnava negli studi naturali quello spirito caratteristico del XVIII secolo che divideva la scienza in due settori: da una parte la filosofia di Christian Wolf che si muoveva in una sfera del tutto astratta, e dall'altro i singoli rami della scienza che si perdevano in una miriade di particolari. Questi non avevano l'aspirazione a cercare nel mondo dei loro oggetti un principio superiore, quella non riusciva a trovare il passaggio dai suoi concetti generali al regno della realtà immediata. Stavano di fronte, senza possibilità di conciliazione una dottrina dei principi, alla quale faceva difetto il contenuto vivente, l'amorevole adesione alla realtà immediata, e una scienza senza principi, priva di contenuto ideale. CIASCUNA ERA INFECONDA PER L'ALTRA. La sana natura di Goethe veniva a trovarsi ugualmente respinta da queste unilateralità.
Nel contrasto con esse si svilupparono in lui le rappresentazioni che lo portarono più tardi alla sua feconda concezione della natura nella quale idea ed esperienza si vivificano a vicenda in una totale compenetrazione. ESSE DIVENTANO UN TUTTO.
Per questi motivi si sviluppò per primo in Goethe il concetto della vita, ovvero quello che meno di ogni altro poteva venir afferrato da quei due punti di vista estremi.
Un essere vivente ci mostra una serie di particolari che costituivano appunto l'oggetto di una estesa trattazione da parte della seconda delle due correnti prima accennate. In questo modo però si potrebbe anche descrivere un meccanismo; si dimenticava completamente che nell'organismo di manifesta un principio interiore e che in ogni organo agisce il TUTTO. Quell'apparenza esteriore, quella contiguità tra le varie parti può essere osservata anche quando l'organismo è morto, ma a quel punto esso non è più un organismo perché ne è scomparso il principio.
A questa maniera di osservare Goethe contrappone la possibilità e necessità di un'altra osservazione più elevata.
Ne parla anche nel Faust:
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Chi brama di conoscere
qualcosa di vivente e di descriverlo,
cerca prima di scacciar lo spirito;
così le parti ha in mano,
e non gli manca, ahimè, che l'essenziale:
il nesso spirituale!
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Egli non si limitò a negare la concezione di altri, ma elaborò sempre più la sua. Egli matura l'idea di un essere nel quale ogni parte vivifica le altre e un principio compenetra tutti i particolari. Questa entità è pensata soggetta nel tempo a trasformazioni costanti, ma che, in tutti i gradini della trasformazione, SI MANIFESTA SEMPRE COME UNICA e si afferma come duratura e stabile nella mutazione. La maturazione di questa sua concezione si manifesta nelle sue creazioni artistiche prima di diventare un pensiero organico espresso in un'opera a carattere scientifico.
Ma se osserviamo tutte le forme, e particolarmente le organiche, non troveremo mai alcunché di duraturo, quiescente e delimitato, anzi tutto ondeggia in perpetuo movimento”.
A questo ondeggiare egli contrappone, quale elemento costante, l'idea, ovvero “un quid tenuto fermo nell'esperienza solo per un attimo”.
E quest'idea di un essere vivente non viene inizialmente applicata ad un singolo organismo, bensì all'universo intero concepito come essere vivente. Questo punto di vista nasceva dagli esperimenti alchimistici fatti con la signorina von Klettenberg, nei quali si cercava di fermare in qualche esperimento questo principio compenetrante l'universo stesso. Ma questo modo quasi mistico di contemplare il mondo cede presto il campo ad una concezione più sana ed obbiettiva che si viene formando sempre più chiaramente con la maturazione delle sue idee sulla natura; esse vengono esposte per esteso nel saggio La Natura, scritto intorno al 1780. Esso ha un'importanza speciale perché vi si trovano coordinate tutte le idee che Goethe aveva solo accennato qua e là. Vi incontriamo l'idea di un essere in continuo mutamento eppure sempre identico a se stesso: “Tutto è nuovo, e pur sempre lo stesso”.
Linneo aveva provveduto a classificare le piante per poter trovare facilmente il loro posto nel sistema. Egli metteva in evidenza i caratteri distintivi, considerando come peculiari quelli esteriori. Le piante risultavano così in un certo ordine, che però si sarebbe potuto applicare anche a corpi inorganici. Tali caratteri si mostravano in una contiguità esteriore, senza un intimo nesso necessario.
Goethe non poteva contentarsi di questo modo di considerare gli esseri viventi, poiché nel sistema di Linneo non si cercava mai l'essenza della pianta. Egli invece si chiedeva in cosa consiste il quid che fa di un essere naturale una pianta e che si ritrova in tutte le piante, poi v'era tutta l'infinita varietà degli esseri singoli che chiedeva anch'essa una spiegazione. COME AVVIENE CHE QUELL'UNO SI MANIFESTI IN FORME TANTO SVARIATE?
Contemporaneamente all'incontro con le opere di Linneo avviene anche quello con le opere di Rousseau. L'attività botanica di Rousseau fece una profonda impressione su Goethe perché si svolgeva in un senso che gli andava più a genio, soprattutto la freschezza e l'immediatezza dell'osservazione che si rivolgeva alla pianta per amore di quest'ultima, prescindendo affatto da principi utilitari. Entrambi avevano in comune l'essere arrivati allo studio delle piante, non attraverso un'aspirazione scientifica coltivata specialisticamente, ma per motivi umani generali.
In quegli anni Goethe incontra anche gli studi botanici di Gleichen-Russwurm ed ha frequentissimi colloqui con Herder che aveva appena condotto a termine le Idee sulla filosofia della storia. Il 1 maggio 1784 la signora von Stein scrive a Knebel: “Il nuovo scritto di Herder sembra dimostrare che noi uomini siamo stati da prima piante e animali...Goethe ora sta rimuginando intorno a queste cose”. Il 15 maggio 1785 Goethe scrive alla signora von Stein: ”Non so esprimerti quanto mi vada diventando leggibile il libro della natura! Il mio lungo sillabare mi ha aiutato ed ora ad un tratto mi serve; la mia gioia silenziosa è indicibile”.
Si dedica agli studi botanici con grande energia e solo ora, dopo molti pensieri e osservazioni personali, Linneo gli riesce più utile fornendogli su molti particolari, spiegazioni che lo aiutano a procedere nelle proprie combinazioni. Durante questi studi riesce a capire sempre meglio che "è proprio un'unica forma fondamentale quella che appare nella infinita molteplicità dei singoli individui vegetali, e tale forma fondamentale stessa diviene sempre più perspicua....in tale forma fondamentale risiede la possibilità di infinite variazioni, per cui dall'unità deriva la molteplicità". Il 9 luglio 1786 scrive alla signora von Stein: ”Si giunge a percepire la forma con la quale la natura gioca, per così dire, di continuo, e giocando produce la molteplice vita”.
Si trattava ora di elaborare in un'immagine plastica, fin nei particolari, l'elemento costante, permanente, cioè quella forma primordiale con la quale la natura “gioca”. Bisognava allora separare ciò che nella forma vegetale è veramente costante, duraturo, da ciò che è variabile, incostante.
Dalle osservazioni che ne fece poté constatare che tutti i caratteri esteriori, tutto ciò che di essa appare all'occhio, è incostante, variabile, e ne trae la conseguenza che l'essenza della pianta non consista in tali proprietà, ma debba ricercarsi più in profondità.
Anche Darwin prese lo spunto da osservazioni simili, e da questa variabilità corroborò i propri dubbi sulla costanza dei caratteri esteriori di genere e di specie. Però i due scienziati pervennero a risultati del tutto diversi. Mentre Darwin considera esaurita l'essenza dell'organismo nelle proprietà suddette e ne deduce che non vi sia nulla di costante nella vita delle piante, Goethe si spinge più a fondo e conclude: se quelle proprietà non sono costanti, allora l'elemento costante va cercato in qualcosa di differente, che sta alla base di quelle esteriorità variabili. GOETHE SI PONE LA META DI SVILUPPARE L'ELEMENTO COSTANTE, MENTRE DARWIN SI SFORZA DI INDAGARE NEI PARTICOLARI LE CAUSE DI QUELLA VARIABILITA'.
La concezione goethiana è molto più ampia e comprende due aspetti:
a. la legge che si manifesta nell'organismo, la vita che si svolge da se stessa e possiede la forza e la capacità di svilupparsi (grazie alle possibilità insite in essa) in molteplici forme esteriori.
b. l'azione reciproca tra organismo e natura inorganica nonché tra i vari organismi (adattamento e lotta per l'esistenza).
Darwin svolge solo quest'ultimo aspetto della scienza degli organismi. La teoria darwiniana è quindi lo sviluppo di un solo aspetto delle idee fondamentali di Goethe. Sviluppando solo uno dei lati non si potrà giungere a una teoria completa degli organismi.
Gli organismi si lasciano influenzare dall'ambiente che li circonda, assumono, sotto la sua azione, condizioni diverse, ma lo fanno in modo corrispondente alla loro natura essenziale, a quel quid che ne fa appunto degli organismi. Solo chi è dotato di comprensione per questa essenza degli organismi sarà in grado di comprendere perché essi rispondano a determinati stimoli in un determinato modo e in nessun altro
L'idea della pianta-tipo si delinea sempre più definita e chiara nello spirito di Goethe. 27 settembre 1786, nel giardino botanico di Padova gli “si venne facendo sempre più vivo il pensiero che forse tutte le forme vegetali si potessero sviluppare da una sola”. Il 19 febbraio 1787, essendo a Roma, scrive di trovarsi in procinto di “scoprire alcune nuove e belle vie per le quali la natura compie il prodigio, così insignificante in apparenza, di sviluppare il molteplice dal semplice”. Il 17 aprile 1787, da Palermo, scrive ancora della pianta tipo: “Essa deve pur esistere; come potrei altrimenti riconoscere che questa o quella formazione è una pianta, se non fossero tutte formate secondo un solo modello?”
Egli intende parlare del complesso di leggi formative che organizza la pianta e ne fa ciò che essa è; ciò per cui, di fronte ad un determinato oggetto di natura, ci rendiamo conto che si tratta di una pianta; ecco che cos'è la pianta-tipo. E' un quid ideale, afferrabile solamente con il pensiero, che acquista una certa forma, grandezza, colore, numero di organi, ecc. QUESTA FIGURA ESTERIORE NON E' NULLA DI FISSO, AL CONTRARIO PUO' SUBIRE INNUMEREVOLI MODIFICAZIONI TUTTE CONFORMI A QUEL COMPLESSI DI LEGGI FORMATIVE, TUTTE DERIVANTI DA ESSO CON NECESSITA'. Questo quid è posto dalla natura a fondamento di ogni singolo individuo vegetale. Il 17 maggio 1787 scrive a Herder: “Debbo confidarti che sono vicinissimo al mistero della generazione dei vegetali e che si tratta della cosa più semplice che si possa pensare....Con il mio modello si possono inventare piante all'infinito e piante coerenti che, se anche non esistono, potrebbero però esistere, e non sono ombre o fantasmi poetici, ma hanno, al contrario, una loro intima verità e necessità. La stessa legge potrà venir estesa a tutti i viventi”.
Qui si può scorgere la profonda differenza tra la concezione di Darwin e quella di Goethe. Per il primo gli influssi esterni agiscono sulla natura di un organismo come cause meccaniche e come tali lo modificano. Per Goethe invece le singole modificazioni sono l'estrinsecazione dell'organismo primordiale il quale ha in sé la capacità di assumere molteplici aspetti e assume quello più appropriato alle condizioni ambientali. Queste condizioni ambientali sono soltanto l'occasione perché le forze formative intrinseche si manifestino in modo particolare, e solamente queste ultime sono l'elemento creativo della pianta. Ecco perché Goethe, il 6 settembre 1787, lo chiama έν και παν (uno e tutto) .
Allora possiamo rilevare quanto segue: il vivente è tutto in sé conchiuso e deriva da se stesso i propri modi di esistere. Tanto nella connessione spaziale degli organi, che nella successione temporale degli stadi di un essere vivente, esiste un gioco di rapporti che non è determinato da un nesso meccanico-causale tra uno stadio precedente e quello successivo, ma è dominato da un principio superiore che si eleva al di sopra degli organi e degli stadi. In un organismo vivente si ha sviluppo di un elemento dall'altro, trapassi dei vari stadi l'uno nell'altro in un continuo divenire. In una pianta questo si manifesta nel fatto che tutti gli organi sono costruiti secondo le stessa forma fondamentale. Il 17 maggio 1787 Goethe scrive “In quell'organo della pianta che siamo soliti chiamare foglia si nasconde il vero Proteo, capace di celarsi e di manifestarsi in tutte le apparenze; in qualsiasi direzione si consideri la pianta, essa è sempre e solamente foglia”.
La pianta è dunque un essere che sviluppa in tempi successivi una serie di organi tutti collegati tra loro e con l'intero organismo da un'unica e identica idea formativa. Ogni pianta è un insieme armonico di piante.
Una volta raggiunta la chiarezza su questa idea, a Goethe non rimaneva altro da fare se non le singole osservazioni atte a dimostrare partitamente i diversi stadi evolutivi che la pianta esprime dal proprio seno. Di questo Goethe aveva già gettato le basi con lo studio dei semi fin dalla primavera del 1785, trovando il punto nel quale è situato il germe del processo. Studiando in particolare il finocchio fresco egli scoprì la differenza tra le foglie inferiori e quelle superiori che pure erano sempre lo stesso organo. Restava da fare il passo per poter considerare come foglie metamorfosate anche i petali, gli stami e i pistilli. A ciò lo aiutarono gli studi del botanico inglese Hill, che in quegli anni acquistarono notorietà.
Il seme è allora il punto nel quale la pianta è contratta (concentrata) al massimo. Con le foglie si ha il primo sviluppo, il primo espandersi delle forze formative. Ciò che nel seme è concentrato in un punto, si espande spazialmente nelle foglie. Nel calice le forze si contraggono di nuovo verso un punto assiale. La corolla è il risultato dell'espansione successiva, gli stami e il pistillo sono l'ulteriore concentrazione, mentre il frutto è l'ultima (terza) espansione, prima della nuova concentrazione nel seme. In esso tutta la forza vitale della pianta (questo principio di entelechia) si cela nuovamente nella sua massima contrazione.
Non è facile, negli studi di Goethe, seguire la nascita del concetto di espansione e contrazione. Poiché esso è derivato dal maggiore o minore sviluppo spaziale e quindi risiede in ciò che della pianta si offre direttamente all'occhio. Forse egli si avvalse in più occasioni di disegni che eseguiva delle piante poiché non aveva altri mezzi di conservazione di quelle forme.
La forma per Goethe è dunque qualcosa di elementare, di costruttivo, che va considerata come esistente unitariamente anche nella sua frammentarietà, qualcosa che può dar vita ad altre forme simili o diverse, più complesse, più articolate ma sempre fornite di uguale unità organica e strutturale.
La distinzione tra esperienza fenomenica e idea, la soggettività dell’esperienza di fronte all’oggettività del mondo esterno, trovano in Goethe un avversario. Per lui la realtà, nella sua apparenza fenomenica, acquista importanza e valore “cosmici”; per questo dalle singole osservazioni parziali egli deriva le leggi fondamentali risalendo dal fenomeno al fenomeno primordiale (Urphaenomen), come dalla pianta risalirà alla pianta primordiale (Urpflanze).
La metamorfosi si può considerare come il passaggio da una forma all’altra, che ha con la prima un rapporto di interdipendenza, per cui non è possibile considerare la risultante del processo metamorfico, se non come derivata della forma primitiva. Tuttavia la nuova forma, una volta raggiunta la compiutezza, diventerà a sua volta una Urform per una successiva forma a venire. Nel concetto di metamorfosi è implicito un carattere di miglioramento; il processo formativo, in altre parole, è il tendere d’una forma verso la condizione di “migliore forma”.
In ogni suo esperimento Goethe ha fatto vibrare la sua concezione “vitalista” della natura insieme ad un insistito richiamo al processo formativo nella natura e nell’arte, in maniera che l’uomo ed ogni suo organo non siano mai considerati alla stregua di apparecchiature meccaniche, ma sempre in relazione alla spiritualità della loro funzione.
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Dall’arte alla scienza
Nella nostra epoca si ritiene di dover tracciare una linea netta tra l’arte e la scienza. Questa deve darci un’immagine obbiettiva del mondo, attenersi puramente al dato, rinunciare a qualunque arbitrio soggettivo, prendere la misura del vero e del falso esclusivamente dagli oggetti dell’esperienza. Tutt’altro si richiede all’arte. Ad essa da legge la forza auto creatrice dello spirito umano; l’arte cresce nel campo della soggettività geniale, le sue creature sono formazioni della fantasia umana e non riflessi del mondo esteriore. Fuori di noi, nell’esistenza oggettiva, sta l’origine delle leggi scientifiche, dentro di noi, nella nostra individualità, quella delle leggi estetiche. Queste ultime non hanno alcun valore conoscitivo, generano illusioni senza alcun fattore di realtà. Con queste idee non si arriverà mai alla chiarezza sul rapporto tra l’arte goethiana e la scienza goethiana e si fraintenderanno entrambe.
L’IMPORTANZA STORICA UNIVERSALE DI GOETHE STA NEL FATTO CHE L’ARTE SCATURISCE DALLA FONTE PRIMORDIALE DELL’ESSERE E NON PORTA IN SE’ NULLA DI ILLUSORIO, DI SOGGETTIVO, MA APPARE COME RIVELATRICE DI QUELLE LEGGI CHE, NELLE PROFONDITA’ DELL’OPERARE DELLA NATURA, IL POETA HA RACCOLTO DALLO SPIRITO UNIVERSALE. L’arte diviene interprete dei misteri dell’universo, come lo è per altri versi la scienza.
Goethe ha sempre inteso l’arte così. Essa era una delle rivelazioni della legge primordiale del mondo, la scienza era l’altra. Arte e scienza scaturivano da un’unica fonte. Mentre lo scienziato si immerge nella realtà per esprimerne in forma di idee le forze propulsive, l’artista cerca di plasmare la propria materia secondo quelle stesse forze. “Nelle opere dell’uomo, come in quelle della natura sono degne di considerazione soprattutto le intenzioni”. Con queste parole egli cerca dovunque, non solo ciò che si offre ai sensi esteriori, ma la tendenza grazie alla quale le cose sono divenute. AFFERRARE SCIENTIFICAMENTE TALE TENDENZA E CONFIGURARLA ARTISTICAMENTE E’ LA SUA MISSIONE.
Così l’arte gli appare oggettiva al pari della scienza, solo la forma ne è diversa. Gli ripugna ogni opinione che assegni all’arte o al bello una posizione isolata, fuori dell’immagine complessiva dell’evoluzione umana. L’arte si fonda dunque sulla conoscenza: questa ha il compito di ricreare nel pensiero l’ordinamento sul quale il mondo è costruito, quella deve configurare nel particolare l’idea di tale ordinamento complessivo del mondo. Quanto l’artista raggiunge riguardo alle leggi ordinatrici, lo pone nella sua opera. PERCIO’ ESSA APPARE COME UN UNIVERSO IN PICCOLO. Qui sta la ragione per cui la tendenza artistica di Goethe deve completarsi con la scienza. Goethe non voleva né scienza, né arte di per sé: voleva l’IDEA, e la enuncia a seconda dell’aspetto in cui essa gli si presenta in quel momento. Egli cerca di allearsi con lo Spirito Universale e di rivelarci il suo operare, e lo fa per mezzo dell’arte o per mezzo della scienza. Non vuole uno sforzo unilateralmente artistico o scientifico, vuole contemplare “ogni energia creatrice e ogni seme”.
Egli comunque non è un poeta filosofo: poiché i suoi poemi non prendono mai la via del pensiero per giungere alla forma sensibile, bensì fluiscono in modo immediato dalla sorgente di ogni divenire. Cionondimeno neppure le sue indagini sono pervase di fantasia poetica: poiché si fondono direttamente sulla percezione delle idee e quindi si basano su un pensiero di carattere puramente scientifico.
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Fonti:
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Dalla Teoria dei colori - Estratto dall'opera di Goethe a cura di Giuseppina Quattrocchi - Demetra editrice
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Le opere scientifiche di Goethe - Rudolf Steiner - Fratelli Melita editori
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Gli scritti scientifici vol. I - Wolfgang Goethe - Introduzione di Gillo Dorfles - Capitello del Sole editrice

sabato 8 novembre 2008

L'antroposofia è una via della conoscenza

L'antroposofia è una via della conoscenza che vorrebbe condurre lo spirituale che è nell'uomo allo spirituale che è nell'universo. Sorge nell'uomo come un bisogno del cuore e del sentimento. Deve trovare la sua giustificazione nel fatto che essa è in grado di offrire a questo bisogno un soddisfacimento. Può riconoscere l'antroposofia solo chi trova in essa quel che deve cercare per una sua esigenza interiore. Possono perciò essere antroposofi soltanto quegli uomini che sentono certi problemi sull'essere dell'uomo e del mondo come una necessità vitale, come si sente fame e sete.
(Rudolf Steiner - "Massime antroposofiche", massima n.1)
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domenica 2 novembre 2008

Appuntamenti mese di novembre

Martedì 4 novembre ore 17 - gruppo pedagogia
Martedì 11 novembre ore 17 - gruppo filosofia
Mercoledì 12 novembre ore 17 - Comitato direttivo
Sabato 15 novembre ore 10 - terzo incontro di pittura
Martedì 18 novembre ore 17 - gruppo pedagogia (all'incontro parteciperà il dott. Vittorio Aloisio)
Martedì 25 novembre ore 17 -gruppo filosofia
Venerdì 28 novembre - conferenza "La scienza organica di Goethe"
(vedi dettagli nel programma di attività 2008-2009 e in quello di pittura - pubblicati in agosto 2008)
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sabato 1 novembre 2008

Biografia di Johann Wolfgang Goethe

In preparazione della conferenza-incontro del prossimo 28 novembre (vedi in programma di attività - agosto 2008 e in appuntamenti del mese di novembre), pubblichiamo delle note biografiche su Goethe, sperando che esse aiutino a collocare meglio quanto verrà in seguito esposto.
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Johann Wolfgang Goethe

(Francoforte sul Meno, 28 agosto 1749 - Weimar, 22 marzo 1832)

Johann Wolfang Goethe nasce il 28 agosto 1749 a Francoforte sul Meno da una benestante famiglia borghese. Il padre, Johann Kaspar, uomo rigido e pedante, è consigliere imperiale, ma non ha accesso alle cariche pubbliche e questo gli lascia un ampio margine di tempo da dedicare alla amministrazione dei suoi beni e alla educazione dei suoi due figli Wolfang e Cornelia. La madre, Katharina Elisabeth, nata Textor, molto più giovane del marito, è una donna intelligente e vivace e discende da nobile famiglia. La casa natale si trova sull’Hirschgraben: ne troviamo descritti ambienti e ammodernamenti graduali in Poesia e Verità, dove emerge anche in modo accurato la Francoforte di allora, città imperiale dai floridi traffici e compiaciuta della propria autonomia.
La sua infanzia fu serena, disciplinata e ricca di studio. Il padre gli fece studiare il disegno, la musica, l'equitazione, la scherma, il tedesco alla perfezione, le lingue antiche e moderne ( greco, latino, ebraico, italiano, francese, inglese). Questo periodo felice e spensierato si concluse quando, a quindici anni, il giovane Goethe si vide ingiustamente processato per truffa. La crisi morale che ne derivò portò il ragazzo a scrivere versi sarcastici ed a distruggere parecchi manoscritti per manifestare la propria ribellione.
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Il giovane emigra nel 1765 a Lipsia, città lambita dall’influenza della cultura francese di cui lui era già imbevuto, anche se in seguito la ridimensionerà a vantaggio di altre letture (la Bibbia, Omero, Tasso) e la trascurerà per approfondire la lingua inglese, italiana e persino ebraica. Studioso e impegnato (frequentava anche i corsi di giurisprudenza all'Università della città), dunque, ma non per questo alieno dal gusto della vita o dalla gioia della gioventù e della bellezza. Anzi possiamo dire che proprio a Lipsia, dove si era recato per studiare, approfondisce soprattutto la vita, intesa nella sua accezione più ampia e variegata. Qui il giovane si inserì senza difficoltà nella frivola vita di società, così diversa dalla società conservatrice e patriarcale di Francoforte. La produzione di questo periodo comprende opere convenzionali, formalmente virtuose, ma anche sinceri e dolorosi sfoghi, rivelatori dell'insoddisfazione di fondo che caratterizzò tutto il periodo lipsiese.
Egli scrisse i Neue Lieder (Nuove Canzoni), il Buch Annette (Libro per Annette), e le commedie Die Laune des Verliebten (I capricci dell'innamorato) e Die Mitschuldigen (I correi). Qui, tormentato dall'amore per Kaethchen Schoenkopf e deluso dal mondo accademico, Goethe si ammalò gravemente, e nel 1768 decise di tornarsene a casa. A Francoforte e vive una profonda crisi spirituale, sollecitata dalla frequentazione con Susanna Katharina von Klettemberg di cui sono testimonianza e viva espressione le Confessioni di un’anima bella.
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Nel 1770 si trasferì a Starsburgo, dove completò gli studi di giurisprudenza. Guarito e rinnovato nel fisico e nello spirito, manifestò in ogni campo la sua appassionata voglia di vivere, con lunghe passeggiate a piedi ed a cavallo, cordiali relazioni con tutti ed affettuosi sentimenti nei rapporti umani. Le nuove conoscenze lo attraggono come una calamita e non solo creature femminili, ma anche compagni di studio, scrittori esuberanti come Lenz, L. Wagner, Lavater, Jung. Mostra una chiara attrazione per ogni forte personalità e tra queste primeggia Herder, filosofo, teologo, che appare ai suoi occhi assetati di genialità come il profeta di quel fenomeno particolarissimo che era lo Sturm und Drang ("Tempesta e Impeto"), che sottolineava il passaggio dal soggettivismo lirico all’individualismo titanico. Herder lo portò a sottrarsi all'influenza del classicismo francese, ligio alla concezione aristotelica dell'unità di tempo, di luogo e di azione, cui doveva attenersi la tragedia, e lo introdusse all'opera di Shakespeare, in cui proprio il mancato rispetto delle tradizionali unità contribuisce all'intensità drammatica. Herder, inoltre, indusse Goethe ad approfondire il significato della poesia popolare tedesca e delle forme dell'architettura gotica quali fonti di ispirazione letteraria. Gli insegnamenti di Herder si tradussero nella tragedia Goetz di Berlichingen (1773), che Goethe scrisse a Francoforte, dove era tornato una volta conclusi gli studi giuridici. L'opera, che prende a modello Shakespeare, ha come protagonista un cavaliere del Cinquecento, in rivolta contro l'autorità dell'imperatore e della Chiesa, e anticipa proprio i fremiti libertari che sarebbero stati l'anima del movimento Sturm und Drang, antesignano del romanticismo tedesco.
Non solo Goetz, ma anche la prima stesura del Faust, i frammenti del Prometeo, e il suo primo romanzo, I dolori del giovane Werther, risentono fortemente di questo influsso. E la novità è soprattutto la lingua che, dirozzando il barbaro tedeschismo dei secoli precedenti, contribuisce a europeizzare la letteratura tedesca. In quegli anni imparò a vedere il mondo come un'immensa totalità in cui il fisico e lo spirituale erano indistinguibili. Nel 1771 si stabilì a Francoforte in qualità di avvocato
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Frutto dei lunghi colloqui con Johann Gottfried Herder, fu l'opera meditata e programmatica di quel particolare periodo. Scrisse, infatti, due saggi sull'architettura tedesca Von deutscher Baukunst, e Zum Shakespeare-Tag in omaggio a William Shakespeare. Nell'apparente disordine dell'architettura gotica e dei drammi dello scrittore inglese, Goethe trovò quell'unità tipica del genio e della natura, entrambi fedeli a leggi proprie.
Nelle opere letterarie del quinquennio iniziato a Strasburgo e conclusosi con la partenza per Weimar, Goethe raggiunse una sbalorditiva padronanza della forma e diresse i suoi sforzi verso una totale spiritualizzazione della natura, risultato ottenuto splendidamente nel Canto di Maometto (Mahomets Gesang). Scrisse anche alcune commedie e farse denotanti il gusto per il quadro pittoresco e la lingua parlata dal popolo (Il satiro, La fiera di Plundersweiler, ed altre).
Questo periodo geniale portò anche alla composizione delle scene del Faust (Urfaust, ad indicare il nucleo più antico di quest'opera). L'Urfaust racchiude le parti poeticamente più alte, originali e potenti, i brani lirici più belli come le canzoni di Gretchen. Nel 1772 tornò a Francoforte. In quegli anni strinse amicizia anche con Friedrich Heinrich Jacobi ed i fratelli Stolberg, indi, nel 1774, si fidanzò con Lili Schönemann.
In quell'anno apparve Die Leiden des jungen Werthers (I dolori del giovane Werther). Il successo del romanzo derivò dall'immedesimazione della sua generazione nel protagonista e dal riconoscimento dei diritti del cuore contro le leggi dell'etica e della società. Il romanzo con la sua potente carica emotiva fu fondamentale per la comprensione della personalità del sommo poeta. Dopo la pubblicazione del Werther, per Goethe fu l'apoteosi e divenne l'indiscusso capogruppo della nuova poesia del celeberrimo Sturm und Drang. Mai come in quel momento fu così vicino alla felicità, anche in campo sentimentale. Nonostante tutto ciò, la prospettiva di una vita matrimoniale con Lili nel frivolo, ricco e convenzionale ambiente della sua famiglia gli sembrò una schiavitù per il suo spirito in continuo movimento. Nelle poesie a Lili Sul lago (Auf dem See), si poté già trovare il travaglio che accompagnò la nascita di una nuova personalità.
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Il 7 novembre 1775 Goethe venne chiamato a Weimar come precettore di Carlo Augusto, duca di Saxe-Weimar. Essendo Weimar una cittadina di seimila abitanti, dominata da una Corte piccola sì, ma ambiziosa, l’amicizia del Duca, unita al fascino che già comincia a emanare dalla sua persona, lo aiuta a superare ogni ostacolo e a salire lungo un percorso interessante: prima membro del Consiglio segreto, poi Consigliere segreto e quindi Ministro. Sullo sfondo di questa piccola corte di poeti che ambiva ad elevarsi, i rapporti costruiti e soprattutto, dal 1776 al 1778, quello con la signora Charlotte von Stein (che ha ispirato a Mann il celebre romanzo Carlotta a Weimar, nel quale Goethe viene definito come «una candela che consuma il suo corpo per fare luce») si stagliano nitidi, e le 1500 lettere indirizzate alla donna rivelano chiaramente la consapevolezza che i personaggi di Weimar avevano della propria funzione. Charlotte von Stein si impegnò ad educarlo ai compiti che lo avrebbero atteso come precettore e poi come consigliere del duca.
I primi dieci anni trascorsi a Weimar, caratterizzati da una certa povertà nella produzione poetica, vedono continuare la sua lenta trasformazione, già iniziata a Francoforte. In quegli anni vi furono opere ancora improntate dalla sua poesia precedente, quali per esempio I canti di Mignon inclusi nel Meister, le due ballate Il pescatore (Der Fischer) ed Il re degli elfi (Erlkönig), e lo stupendo Canto notturno del viandante (Wanderers Nachtlied) poesia nella quale l'anima del poeta lentamente si sostituiva al cuore capriccioso che aveva dominato la produzione precedente.
La ricerca della verità ultima dell'anima dominò altre composizioni; scrisse infatti il Canto degli spiriti sopra le acque (Gesang der Geister über dem Wasser), i Limiti dell'umano (Grenzen der Menschheit) ed Il divino (Das Göttliche). In quel periodo (dal 1777 al 1785) Goethe compose anche il romanzo La missione teatrale di Guglielmo Meister (Wilhelm Meisters theatralische Sendung) ed il dramma, del 1779, Ifigenia in Tauride (Iphigenie auf Tauris). Quegli anni, inoltre, lo videro impegnato su diversi fronti come consigliere ministeriale per gli affari militari, per la viabilità, per le miniere e la pubblica amministrazione.
Fu anche sovrintendente ai musei, e nel 1782 venne insignito del titolo nobiliare. Ma ben presto anche Weimar gli diviene stretta: il suo mestiere di cittadino del mondo doveva identificarsi sempre con quello di poeta e, ripercorrendo la sua storia nei capitoli della Vocazione teatrale di Guglielmo Meister, egli si rende conto che lo iato tra l’uomo e l’artista era sempre ancora marcato. Nasce così l’idea di un viaggio in Italia, nato non tanto dal bisogno di un esteriore omaggio alla classicità (che per lui era la fusione tra natura e cultura), quanto da quell’immagine che lui perseguiva e che avrebbe rintracciato nella grecità e nella “naturalezza” italiana. Nel 1786, all'insaputa di tutti, fugge in Italia.
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Arriva a Roma il 29 ottobre. Abita nel Corso in una modesta pensione e rinasce in lui la volontà di fare poesia, che a Weimar aveva cominciato a ristagnare. Riprende anche a disegnare. Va a Napoli. Sale sul Vesuvio. Con il pittore Kniep s’imbarca per Palermo.
Egli «muove alla ricerca di una Italia metastorica, di minerali e di strati geologici da classificare e di opere d’arte da studiare, ricerca fra le colonne rivestite di verde le vestigia più intatte di una civiltà eccelsa e quindi non si propone come meta primaria lo studio delle condizioni socio-politiche (…). Questa priorità di interessi non esclude la sensibilità per i caratteri e i costumi degli italiani, che non sono idealizzati secondo il posteriore cliché inaugurato dai romantici, ma osservati con un senso acuto per la realtà della loro natura» (Roberto Fertonani in Premessa a Viaggio In Italia di Goethe). Ecco l’indifferenza di Goethe per la situazione politica italiana divisa in staterelli destinati a essere presto cancellati da Napoleone. Oppure la parzialità di questo strano viaggiatore che si ferma sì e no tre ore a Firenze e a Roma non si cura dei mosaici di S. Maria in Trastevere e a Palermo non degna le splendide cattedrali arabo-normanne. La sua estetica si riassume nel binomio «nobile semplicità e tranquilla grandezza» e, coerentemente con la mentalità settecentesca, alla quale era stato educato, condivide il nuovo metodo storico basato sulla successione degli stili, e la convinzione che l’arte sia soltanto una parte di un programma fissato in anticipo: le altre sono l’osservazione scientifica e di costume. Da sottolineare che fra il reale viaggio in Italia e l’opera Viaggio in Italia passano quasi trent’anni e Goethe ha avuto tutto il tempo di filtrare la sua esperienza, di vagliarla, di tradurla da emozione e studio a nostalgia e riflessione. Un aspetto interessante del libro è l’attenzione per la mineralogia e per la botanica. Sul greto del fiume Oreto in Sicilia si china a raccogliere frammenti di diaspri, agate, scisti argillosi che dovranno arricchire la sua collezione a Weimar.
I due anni in Italia furono di piena felicità, nel duplice appagamento dei sensi e dello spirito, grazie all'amore ed all'incanto della civiltà antica. Il paesaggio, l'arte ed il carattere del popolo italiano incarnarono il suo ideale di fusione di spirito e sensi. Qui egli riuscì a dare la forma definitiva all'Ifigenia in Tauride, che scritta in prosa, trovò il suo compimento nel Blankvers o pentapodia giambica.
Ifigenia venne giudicata il vangelo del moderno umanesimo. Questo dramma, come tutti i drammi di Goethe, fu una tragedia solo in potenza, infatti Ifigenia avrebbe salvato il fratello dalla follia e Toante dall'ingiustizia, ma soprattutto, grazie alla propria forza morale, avrebbe trionfato sul destino e mantenuto la propria libertà. Un altro esempio di questo peculiare intendere il dramma, fu ilTorquato Tasso, altra opera portata a termine in Italia, nel quale lo scrittore tedesco celebrò nel poeta italiano il proprio demone giovanile.
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Il suo viaggio termina nel 1788. Tornerà ancora brevemente a Venezia nel 1790 e poi ancora definitivamente nella sua Weimar dove, separatosi da Charlotte, inizierà la sua vita con Cristiane Vulpius, una modesta fioraia, che in seguito sposò. Si dedica con nuova lena ai lavori scientifici (ottica, botanica, geologia, anatomia) e letterari, ma il lavoro creativo non ha più il ritmo di un tempo (stende il Reineke Fuchs, il Gran-Copta e rifà il Meister). Di fronte ai grandiosi rivolgimenti della Francia, rimane non estraneo, ma certo sconcertato. Non è affatto convinto che la migliore Costituzione di questo mondo o la più radicale rivoluzione possano portare vantaggi all’umanità, se si prescinde dall’educazione dell’individuo, suo costante punto di riferimento mentale e letterario.
Il ritorno a Weimar nel 1788 ebbe una fredda accoglienza. La pubblicazione delle Elegie romane (Roemische Elegien), racconto del periodo italiano, suscitò indignazione, come anche la sua relazione con Christiane Vulpius.
Fu l'amicizia con Friedrich von Schiller a riavvicinare Goethe alla letteratura e dalla loro collaborazione, durata dal 1794 alla morte di Schiller nel 1805, scaturirono numerose composizioni liriche ed epiche. In accordo con Schiller decide di dedicare tutte le sue energie alla Musa della Poesia e a tutto ciò che può giovare all’uomo, distraendolo dal contingente. È la sua nuova stagione creativa: la stesura definitiva de Gli anni di noviziato di Guglielmo Meister in cui si rappresentano i vari stadi della formazione spirituale di un giovane (un Bildungsroman, alias "romanzo di formazione"); il poemetto Hermann und Dorothea; la ripresa del Faust. È proprio qui, nel Faust, che ritroviamo sintetizzato tutto il percorso umano e culturale di Goethe. Un personaggio, Faust, che pur se ideologicamente superato, rimane colui che esprime non solo la tragedia del secolo, la crisi dell’Illuminismo, ma tutta la smania della giovinezza. Goethe non è solo Faust, è anche Mefistofele, una figura forse ancora più intensamente autobiografica dell’altra, perché sempre dalla parte della saggezza e della ragione, scettico di fronte al demoniaco Faust come di fronte a qualunque irrazionalismo che travolga l’uomo, sottraendolo alla provincia pedagogica, a un’umanità ottimista e operosa, che vede la morte come naturale conclusione della vita.
Il 2 ottobre 1808, a Erfurt, si smuove dal suo scettico conservatorismo e viene ricevuto da Napoleone; il 6 avviene il secondo incontro e Napoleone lo invita a scrivere una tragedia su Cesare; il 14 viene insignito della Legion d’Onore. Segno, questo, del suo noto ossequio all’ordine, all’Autorità, oltre che un atto di ammirazione per un uomo che egli aveva sempre concepito come un “fenomeno naturale”. Ma da tempo guarda con scetticismo non solo alla politica, ma anche alle nuove forme letterarie. E quando Schlegel e i romantici esaltano il Meister, quando i salotti ebrei di Berlino antepongono lui a Schiller, egli lascia fare: Romanticismo e Neoclassicismo, dirà poi, sono solo due modi differenti di un’unica salutare reazione.
Con lo stesso scetticismo guarda alla involuzione nazionalistica; per lui «la patria è ovunque e in ogni luogo». Non ama più le tinte forti, le personalità troppo pronunciate e di spicco: tende al poliedrico, allo sfumato. Ne è espressione il romanzo Le affinità elettive, un romanzo per pochi, una musica da camera. Anche le donne di Goethe seguono il rinnovarsi delle poetiche: ora è la volta di Marianne von Willemer (lei trentenne, lui sessantacinquenne), figlia d’arte, austriaca, ispiratrice delle bellissime poesie contenute nel Divano Occidentale e Orientale.
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Anno 1819. Schiller è morto nel lontano 1805, la moglie Cristiane nel 1816. Il suo ora è un ideale privato: una casa sempre aperta, dove si possa leggere giorno e notte, far musica, ricevere ospiti. Questo non significa che egli abbia chiuso gli occhi di fronte ai mutamenti del mondo moderno. Basterebbero gli Anni di vagabondaggio di Guglielmo Meister o alcuni spunti premonitori della seconda parte del Faust per farci capire quanta attenzione ancora rivolge all’uomo.
Ormai, come già detto, Goethe a Weimar è la meta di pellegrinaggi di numerose persone che guardano a lui come al simbolo vivente di una coscienza europea che si va spegnendo. Eppure lui è ancora vitale, individualismo sfrenato a sprazzi, desiderio di seduzione per la diciannovenne Ulrike von Levetzow. Dal 1823 prepara la grande edizione delle Opere che cede all’editore Cotta per la notevole spesa di 100.000 talleri. Nel 1827 la morte del figlio August è l’ultimo grave colpo che l’ottantenne sopporta ed egli vuole e deve saperlo sepolto là, presso la piramide di Cestio a Roma, dove egli stesso si era augurato di riposare.
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Muore a Weimar il 22 marzo 1832. Resta la statura morale e intellettuale di un genio, di un grande, di un pagano cristiano, di un cristiano illuminista, di un illuminista romantico, di un filosofo, di un poeta, di un cittadino del mondo. Valgano le parole di Mann: «Goethe nella sua coscienza era umanista e cosmopolita; era, ad onta della sua olimpica divinità, un cristiano spirituale. Con tutta la sua avversione per la “Croce” Goethe ha pur espresso più volte e in maniera significativa il suo rispetto e il suo omaggio per l’idea cristiana.

Arte: lavori di Luciana Marrucci